La sentenza della Corte Costituzionale n. 70-2015
Smascherare i commenti interessati di governo, giornaloni e potere economico
IL VERO SIGNIFICATO DELLA SENTENZA
della Corte Costituzionale num. 70 del 2015
sulla cosiddetta “perequazione automatica delle pensioni”
(Contro la fabbrica del consenso)
La lettura integrale della recente sentenza della Corte costituzionale num. 70 del 2015 in merito alla rivalutazione da applicare alle pensioni, consente di riflettere in chiave critica sulla maggior parte dei commenti provenienti dal Governo, dal blocco economico-partitico che lo sostiene e dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione.
La norma interessata dalla sentenza è l’art. 24, comma 25° della controriforma pensionistica varata dal cosiddetto governo tecnico presieduto da Monti (Decreto legge 06.12.11, n. 201 – decreto Fornero, per intenderci) con l’appoggio parlamentare del PD e dell’allora Popolo della Libertà.
Essa prevedeva, per gli anni 2012 e 2013, il blocco di ogni aumento (rapportato al costo della vita accertato ogni anno dall’ISTAT) dell’ammontare delle pensioni il cui importo lordo complessivo fosse superiore a tre volte il trattamento minimo INPS.
Per essere chiari:
poiché per l’anno 2012 il trattamento minimo di pensione era di euro 481,00 mensili lordi, tre volte tale trattamento significa euro 1.443,00 mensili lordi (circa 1.100,00 euro netti);
La norma giudicata oggi dalla Corte è molto differente da quelle previgenti che sullo stesso argomento prevedevano una più ampia fasciazione degli importi delle pensioni in modo da tener conto che una cosa è una pensione di 1.400,00 euro lordi mensili (circa 1.100,00 netti al mese), altra è una pensione di 5.000,00 euro lordi mensili.
Rivalutare, cioè aumentare automaticamente le pensioni d’importo basso sulla base del costo della vita è giusto, doveroso ed economicamente giustificato (lo sarebbe anche per gli stipendi, dato che 1.100,00 euro al mese sono sicuramente pochi tanto per chi lavora quanto per chi è in pensione). I risparmi si possono fare su chi percepisce pensioni e, più in generale, redditi elevati.
Il blocco all’aumento delle pensioni, oggi condannato dalla Corte, trova un interessante precedente nella sentenza num. 316 del 2010 emessa dalla stessa Corte costituzionale. In quel caso la Corte aveva ritenuto legittima, da un punto di vista costituzionale, la norma (si trattava della Legge 24.12.07, n. 247, art. 1, comma 19°) che bloccava, per l’anno 2008, la rivalutazione delle pensioni per la parte eccedente a otto volte il trattamento minimo.
Tradotto:
la legge vigente nel 2007 prevedeva che sulla quota di pensione che andava oltre le otto volte il trattamento minimo – pari a 8 x 443,56 cioè 3.548,48 euro lordi mensili – non si calcolava alcun aumento (questo vuol dire che la parte di pensione fino a 3.548,48 mensili veniva rivalutata, mentre solo la quota eccedente no).
Riportiamo un passaggio della precedente sentenza del 2010:
“… neppure può ritenersi violato il principio di eguaglianza, perché il blocco della perequazione automatica [vale a dire l’aumento al costo della vita delle pensioni n.d.r] per l’anno 2008, [è] operato esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d’importo di sicura rilevanza [8 volte il trattamento minimo, cioè 3.548,48 al mese n.d.r], realizza un trattamento differenziato di situazione obiettivamente diverse…”
Tradotto: la Corte nel 2010 ci dice che una cosa è un pensionato che prende più di 3.500,00 euro al mese, altro è uno che vive con 1.000,00 euro al mese.
Il principio di eguaglianza è cosa seria e va usato con dovuta proprietà!
Solo leggendo integralmente la sentenza di questi giorni, si apprende che proprio nella precedente del 2010 la Corte costituzionale aveva già ammonito il legislatore con le seguenti parole:
“Deve’essere, tuttavia, segnalato che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo [cioè la rivalutazione delle pensioni al costo della vita n.d.r], oppure la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità…”.
Tradotto: la Corte già aveva ammonito il Parlamento (e il Governo, pertanto) a stare molto attenti quando si colpiscono indiscriminatamente le pensioni, altrimenti sarebbe inutile lamentarsi per una sentenza di condanna.
Ora ditemi, chi ha ragione e chi torto?
USB – da sempre – è dell’opinione che, fatti salvi i singoli magistrati onesti e corretti, la “giustizia” risente degli interessi dei “più forti” (si chiamino governi, società multinazionali, esigenze di bilancio, Unione europea, datori di lavoro e così via). Per questo motivo crediamo che la tutela e l’avanzamento dei diritti dei lavoratori è da conquistare soprattutto con la partecipazione e la mobilitazione.
Migliori salari, pensioni, migliori condizioni di lavoro e di vita, lavoro e reddito si conquistano e si difendono con la mobilitazione e la partecipazione, giorno dopo giorno.
Tuttavia, in questo caso ci troviamo di fronte ad una sentenza che afferma un principio giusto: tutelare le pensioni di quanti furono lavoratori a basso e medio reddito; in ultima analisi, tutelare la dignità di quanti con il proprio lavoro hanno contribuito al progresso economico e sociale del nostro Paese.
Spetterà ai lavoratori mobilitarsi affinché Parlamento e Governo prevedano una diversa fasciazione delle pensioni allo scopo di aumentare e tutelare le pensioni medio-basse.
Spetterà ai lavoratori mobilitarsi e così determinare l’abrogazione delle diverse controriforme pensionistiche (compresa la Legge Dini del 1995) che, nel corso degli anni, stanno determinando e determineranno ancor di più nel futuro la riduzione in povertà e la sottrazione di dignità di intere generazioni.
Per questo, prendi posizione; decidi di schierarti dalla tua parte.
Passa a USB – Unione Sindacale di Base!
Per approfondire, leggi le sentenze sul sito:
www.giurcost.org/decisioni/index.html