I minori e il rischio povertà
Nel nostro Paese, il “rischio di povertà” per i minori è significativamente più alto che per il resto della popolazione.
L’Italia è in realtà uno dei paesi europei con i più alti tassi di povertà minorile, insieme a Lettonia, Lituania, Spagna, Polonia, Ungheria, Grecia e Portogallo. È inoltre uno dei paesi in cui i trasferimenti pubblici hanno minore impatto sulle condizioni di vita dei minori “a rischio di povertà”.
Dai dati dell’indagine del 2006 (redditi del 2005), risulta che nel nostro Paese 11.548.666 individui dispongono di un reddito inferiore alla soglia di povertà. Di questi, 2.539.278 sono minori di 18 anni e rappresentano il 24,5 per cento di tutti i minori; in altri termini, circa un minore su quattro vive nel nostro Paese in una situazione “a rischio di povertà”.
In Estonia, Italia, Lituania e Lettonia l’intensità della povertà è da quattro a sei punti superiore per i minori che per la popolazione adulta. In questi paesi la mediana del reddito equivalente dei minori poveri è più del 28 per cento inferiore alla soglia di povertà nazionale.
Fra le ragioni della diffusione del “rischio povertà” tra i minori nel nostro Paese, un posto di primo piano è occupato dalla situazione lavorativa dei genitori nonché dal contesto culturale della famiglia. Ad esempio, i dati evidenziano che quando almeno uno dei genitori ha un titolo universitario, i figli sono tutelati dal vivere situazioni di povertà. In questo caso, infatti, abbiamo incidenze di povertà che sono in alcuni casi inferiori del 87 per cento rispetto a quello medio nazionale. Tra i minori italiani di queste famiglie il “rischio di povertà” riguarda l’8,9 per cento (contro un valore nazionale del 24,5 per cento).
Un ulteriore, importante, elemento che può ridurre il “rischio povertà” fra i minori è rappresentato dall’intervento pubblico a sostegno delle famiglie.
Ad esempio, in Norvegia la quota di minori “a rischio di povertà” senza questi trasferimenti sarebbe del 31,2 per cento: essa si riduce al 9,5 per cento con la presenza di tali benefici alle famiglie, con un abbattimento dell’incidenza del 69 per cento.
L’Italia, invece, si colloca tra i paesi all’estremo opposto, dove i trasferimenti sociali riducono l’incidenza dei minori “a rischio di povertà” per meno di un terzo. In Italia, senza tali benefici sociali alle famiglie, i minori “a rischio di povertà” sarebbero il 31,9 per cento a fronte del 24,5 per cento osservato effettivamente.
Questi dati dimostrano che nel nostro Paese le dinamiche di mercato determinano una situazione di disagio economico relativo ai minori che è comune a molti altri paesi (ad esempio la popolazione minorile “a rischio di povertà” prima dell’intervento pubblico è all’incirca pari a quella osservata in Francia, Finlandia, Norvegia). Tuttavia, a causa del debole intervento pubblico e del ridotto impatto dei sussidi sociali alla famiglia, la popolazione minorile italiana “a rischio di povertà” diventa sensibilmente superiore a quella degli altri paesi summenzionati, dove le politiche pubbliche di sostegno alla famiglia e, in generale, i trasferimenti pubblici sono maggiormente efficaci.
In generale il sistema dei trasferimenti pubblici con finalità socioassistenziali assicura che meno di un minore su dieci sia “a rischio di povertà”.
In poche parole, in Italia la carenza di un consistente sistema di politiche pubbliche volte a contrastare situazioni di povertà delle famiglie con figli figura tra i fattori principali dell’elevato tasso di povertà minorile riscontrato in Italia.
(Fonte: ISTAT “La distribuzione del reddito in Italia” - Indagine europea sui redditi e sulle condizioni di vita delle famiglie (Eu-Silc) - Anno 2006).
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